Allattamento INPS: congedo parentale, ore e casi particolari

L’allattamento è sicuramente uno dei momenti più importanti per una donna, anche perché rafforza il legame già di per sé unico tra la mamma e il suo bambino. Sia esso naturale o artificiale è un periodo fondamentale per la crescita del neonato ed è quindi necessario che tu mamma sia presente e attenta alle esigenze del tuo bambino.

Allattamento INPS: congedo parentale, ore e casi particolariMa una donna che lavora come può tutelare

il suo ruolo di mamma senza rischiare di perdere il posto di lavoro? Lo Stato tutela la figura della madre nel periodo più delicato della vita di suo figlio?

Una risposta si trova già nella Costituzione.

L’articolo 37 parla proprio della donna e del suo fondamentale ruolo di madre: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.

Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

Durante l’allattamento una donna svolge senza ombra di dubbio una delle sue essenziali funzioni familiari e per questo motivo questo momento della sua vita viene tutelato con ore di riposo giornaliero dall’attività lavorativa, ore retribuite dall’Inps come previsto dagli articoli 39, 40 e 41 del Decreto Legislativo n.151 del 2001.

Il congedo parentale

In caso di gravidanza a una donna spettano solitamente due mesi di congedo obbligatorio prima del parto e tre successivi alla nascita del bambino.

Questa astensione dal lavoro può però essere posticipata in caso di esigenze diverse della lavoratrice ovvero può decidere di congedarsi dal lavoro solo un mese prima per richiederne 4 dopo il parto.

Questa modifica può avvenire però solo dopo aver dimostrato, con un’apposita domanda e un certificato del ginecologo, che questa decisione non arrechi alcun danno a se stessa o al bambino. Il congedo può essere invece anticipato in caso di comprovate complicanze che possano aggravare lo stato di gravidanza.

Ovviamente questa tutela riguarda le donne con un regolare contratto di lavoro dipendente: la Legge garantisce dopo i tre mesi di congedo obbligatorio il diritto di due ore al giorno di riposo (cumulabili o frazionate a seconda delle esigenze) se la lavoratrice ha un impiego full-time, superiore alle 6 ore giornaliere, un’ora in caso di impiego lavorativo part-time e quindi inferiore alle sei ore.

Se il datore di lavoro mette a disposizione una struttura adibita all’allattamento o un asilo nido all’interno del posto di lavoro o nelle immediate vicinanze (ma in Italia quanti ce ne sono?) il periodo di riposo viene dimezzato.

Il datore di lavoro deve consentire la possibilità di usufruire di queste ore di riposo durante il primo anno di vita del bambino (anche in caso di adozione o affidamento da usufruire nel primo anno di inserimento del bambino nella famiglia adottiva). La lavoratrice può accordarsi col suo datore di lavoro sull’orario da dedicare al proprio bambino e, in caso di discordanza tra le parti, la decisione spetta all’Ispettorato del Lavoro.

Le ore di riposo non possono assolutamente essere sostituite con un trattamento economico sostitutivo. Anche perché questo porterebbe comunque a danneggiare la salute del bambino oltre che porre la mamma in uno stato di ulteriore stress fisico e mentale.

A chi spettano queste ore di congedo?

Alle donne lavoratrici dipendenti o al padre lavoratore dipendente nei seguenti casi:

  • figli affidati solo al padre: il lavoratore dipendente deve presentare domanda con certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità e un provvedimento formale attestante l’affidamento esclusivo al padre;
  • se la madre lavoratrice dipendente non se ne avvale;
  • se la madre non è lavoratrice dipendente (ma autonoma o casalinga): occorre presentare il certificato di nascita e una dichiarazione della madre relativa alla sua attività di lavoro non dipendente;
  • in caso di madre morta o gravemente malata: oltre al certificato di nascita come nei precedenti casi serve una certificazione sanitaria attestante la grave infermità o di morte della madre.

Questo periodo di riposo, definito dalla legge congedo parentale viene retribuito anticipatamente dal datore di lavoro che verrà in seguito risarcito dall’Inps. La retribuzione di questo periodo, ovvero l’Indennità di maternità (o paternità se richiesta dal padre) viene conteggiata ai fini della pensione mentre viene escluso per la maturazione della tredicesima mensilità. La giornata lavorativa ad orario ridotto da diritto alla maturazione delle ferie retribuite.

I casi particolari

In casi come parto plurimo o figlio con handicap grave vengono concessi ulteriori permessi:

  • in caso di parto plurimo le ore di riposo vengono raddoppiate (quindi fino a 4 ore al giorno) e nel caso non ne faccia uso la madre, possono essere utilizzate dal padre. C’è da precisare però che le ore non aumentano con l’aumentare dei bambini: quindi in caso di tre gemelli non si avrà diritto a sei ore di riposo ma sempre a 4 ore.
  • in caso di handicap grave si ha diritto alle ore di riposo giornaliero fino al terzo anno di età, oltre a 3 giorni al mese di permesso retribuito.

In Italia quindi le leggi ci sono anche se spesso ci si scontra con la realtà quotidiana che vede un mondo del lavoro sempre più precario e poco pronto all’idea che una mamma possa essere anche una donna lavoratrice: i datori di lavoro poco tollerano il congedo di maternità e sono ancora meno preparati quando il congedo parentale è richiesto dal padre.

L’idea infatti che a prendersi cura dei figli non sia solo la mamma è ancora difficile da accettare in un Paese tradizionalista come l’Italia. Le Leggi però ci sono, ci vorrebbe un radicale cambiamento culturale. Del resto una nuova vita per un paese vecchio come il nostro, non può assolutamente essere considerato un peso ma una vera e propria risorsa.